SHORT RANGE SURVIVAL SHOOTING™ LE DISTANZE NEL TIRO OPERATIVO/DIFENSIVO
SHORT RANGE SURVIVAL SHOOTING™
LE DISTANZE NEL TIRO OPERATIVO/DIFENSIVO
di Tony Zanti
Le distanze nelle quali avvengono gli scontri a fuoco con l’arma corta, non sono molto lunghe, anzi esse sono abbastanza corte e, molte volte, insospettabilmente corte. Infatti, molti Operatori restano sorpresi – se non esterrefatti – nell’apprendere la suddetta notizia, soprattutto quando si rendono conto che l’addestramento che hanno ricevuto non tiene conto di questo fatto. Chiaramente, Operatori appartenenti ad Amministrazioni diverse non ricevono il medesimo addestramento. Gli Operatori della Sicurezza pubblica e privata sono abbastanza disomogenei tra loro e non hanno un obiettivo condiviso: ragion per cui le diverse Dottrine impongono impostazioni di tiro diverse. Anche se molte di queste impostazioni sono frutto di imitazione, specialmente proveniente dalle Forze operanti oltremare, oppure provengono da dettami impartiti dalla fatidica “libretta”. In entrambi i casi si rischia di perpetuare errori di fondo. Nel primo caso, l’imitazione pedissequa, che non segua un ragionamento plausibile e non correlato al particolare contesto cui gli Operatori sono abituati, potrebbe non essere adatta e adattabile al compito operativo. Nel secondo caso, regole originate e istituite gerarchicamente, potrebbero essere non attuali, oltre che essere non attuabili nella realtà operativa, in quanto la maggior parte delle volte sono ideate da coloro i quali sono al vertice della piramide e conseguentemente imposte a coloro i quali devono attuarle, a prescindere dalla loro fattibilità ed efficacia.
GLI OPERATORI
Nello specifico, gli Operatori militari si distinguono dagli Operatori delle Forze dell’Ordine per Dottrina, che è specificamente indirizzata ai distinti compiti operativi. In particolare, è comune asserzione per i militari indicare l’arma corta quale “extrema ratio” o “ultima spiaggia”, per il fatto che, presumibilmente, essa sarebbe utilizzata una volta che l’Operatore avesse esaurito il munizionamento dell’arma lunga. Questo è un luogo comune molto popolare, che fa coppia con la presunta necessità dell’Operatore di effettuare sempre il Cambio Tattico del caricatore della pistola, secondo la teoria che vuole che egli dovrebbe conservare i caricatori che espelle, essendovene conclamata penuria in zona di guerra. Se il postulato principale delle suddette argomentazioni andasse a realizzarsi (l’Operatore è rimasto con l’arma lunga scarica e l’unica arma in suo possesso, dotata di munizioni e relativi caricatori è la pistola), l’Operatore sarebbe presumibilmente a breve distanza dal nemico (altrimenti l’utilizzo della pistola costituirebbe soltanto un tiro di disturbo) e il cambio dei caricatori avverrebbe in maniera concitata e con la massima velocità (Cambio Rapido, quindi e non Cambio Tattico). Conservare un inutile caricatore vuoto (con riferimento alle suddette circostanze), costituisce una remota preoccupazione per un soldato che fosse impegnato nel Survival Shooting, proprio del CQC (Close Quarter Combat). Passare dalle distanze tipiche del CQB (Close Quarter Battle) a quelle del CQC equivale a mettere l’individuo in un forte stato di stress, soprattutto per il fatto che egli è stato addestrato a considerare la pistola come strumento suppletivo dell’arma lunga e non al combattimento con la pistola, che costituisce la cruda realtà nelle suddette particolari circostanze.
D’altro canto, anche l’Operatore del Law Enforcement nostrano è meno incline a considerare come eccessive le distanze alle quali egli è tradizionalmente addestrato, complici una Dottrina stantia e non al passo con i tempi e strutture di tiro di vecchia concezione, che costringono l’Operatore ad effettuare un Tiro Lento-Mirato a distanze irrealisticamente lunghe. Il problema qui consiste nel fatto che il Tiro Lento-Mirato è considerato come la base di un eventuale Tiro Operativo, da svilupparsi in seguito. “Quando e come?”, viene da chiedersi… Infatti, questi Operatori non spiccheranno mai il volo dopo la fase iniziale, che intendeva essere preparatoria, ma che rimane un punto di riferimento costante e una meta finale, anche negli anni successivi. Né migliore sorte subiscono le varie Tecniche di Tiro, caratterizzate da un Tiro Mirato efficace soltanto quando l’Operatore è in condizione statica e un Tiro Puntato raramente preciso, anche alle corte distanze. Parimenti, le vetuste Posizioni di Tiro adottate restano invariabilmente poco efficaci perché statiche. La grande differenza tra ciò che è insegnato e ciò che è attinente alla realtà del Confronto Armato è da ricercarsi nella discrepanza che esiste tra Tiro Attivo e Tiro Reattivo. L’Operatore del Law Enforcement raramente esegue il Tiro Attivo, in quanto nella maggior parte dei casi fa uso delle armi per contrastare una minaccia armata. Ne consegue – nella realtà della strada – un Tiro (necessariamente) Reattivo, per il quale, purtroppo, non è stato addestrato e al quale non è quindi preparato. Fantasia contro Realtà!
Un ulteriore esempio di addestramento poco – o per niente – inerente alla realtà del compito operativo viene da un altro Gruppo, composto da Operatori della Sicurezza pubblica e privata, che possiamo accomunare, per il fatto che essi ricevono, nella maggior parte dei casi, quale unico “addestramento operativo” alcune visite al locale Poligono del Tiro a Segno Nazionale. Mi riferisco agli Agenti di Polizia Locale e le Guardie Particolari Giurate, che l’Unione Italiana Tiro a Segno definisce “Soci obbligati”. Essi sono infatti obbligati a frequentare il TSN, allo scopo di mantenere il proprio “status” operativo a livello giuridico, compiendo sessioni di tiro con la pistola, che è più simile al Tiro Sportivo che non al Tiro Operativo. Incredibilmente, in diversi Poligoni del Tiro a Segno Nazionale i suddetti Operatori sono costretti ad effettuare il Tiro Lento-Mirato dagli stalli, con i bersagli distanti 25 metri e non più di cinque colpi nel caricatore. Questi fatti, uniti ad altre peculiarità che trovano spazio e consenso soltanto nel Tiro Sportivo, fanno sì che i suddetti Soci obbligati siano costretti ad allenarsi a colpire con l’arma corta soltanto bersagli lontani, sviluppando una destrezza da “cecchino con la pistola”! Ultimamente, alcuni episodi hanno dimostrato l’avventatezza dell’unire elementi del Tiro Sportivo con quello che dovrebbe essere un addestramento al Tiro Operativo. Infatti, durante un esercizio di Tiro Dinamico Operativo®, uno dei partecipanti si era trovato a non poter ultimare l’esercizio, essendosi ritrovato con soli cinque colpi in uno dei caricatori: soprappensiero, aveva inserito soltanto cinque colpi nel caricatore, come da abitudine consolidata presso il Poligono di TSN che frequenta. In altro contesto, Guardie Particolari Giurate abituate al medesimo “metodo”, riuscivano a mantenere l’attenzione – e un decente tiro sul bersaglio – soltanto fino al quinto colpo: il restante munizionamento era esploso con dovizia di “strappi” e relativo sparpagliamento della rosata. Un altro episodio recente vedeva un altrimenti provetto tiratore (era solito piazzare tutti i colpi nel “nero” nel bersaglio a 25 metri), vuotare tutto il caricatore (15 colpi) fuori dal bersaglio, posto a soli quattro metri di distanza. Sono fatti inquietanti, che dimostrano l’inefficacia della commistione delle Tecniche di Tiro Sportivo con il presunto addestramento al Tiro Operativo.
A completare il suddetto critico scenario, interviene l’assenza di un arguto metodo che indirizzi l’Operatore al maneggio delle armi da fuoco in Sicurezza. Non è cosa rara che i suddetti Operatori rivolgano la volata dell’arma corta in tutte le direzioni (puntando pericolosamente), non appena questa è estratta dalla fondina, né è raro che il dito indice della mano che regge l’arma sia tenuto a contatto – più o meno costante – con il grilletto.
LE DISTANZE CRUCIALI
Contrariamente a ciò che possa sembrare a chi è abituato a sparare a un bersaglio lontano 25, 15 o anche 10 metri, la maggior parte degli scontri a fuoco avviene a distanze inferiori ai cinque metri. In effetti, moltissimi episodi di questo genere si svolgono a distanza “colloquiale”, altri a distanze di poco superiori. La ragione di ciò è da ricercarsi principalmente nella casualità del trovarsi faccia a faccia con chi intende usare l’arma corta in veste di predatore, perché vuole ferire o uccidere colui il quale percepisce come vittima. Inversamente, la decisione di usare l’arma da fuoco può scaturire da fattori incidentali, ma che il predatore tiene in alta considerazione, quali il sottrarsi all’arresto, oppure imbattersi in un pericoloso rivale. Esecuzioni di stampo criminale o terroristico contengono i suddetti elementi, come si evince guardando i numerosi video su questo soggetto, che proliferano in rete e sono quindi accessibili a chiunque “navighi”.
L’aggressore, quindi, vuole essere sicuro di colpire la sua intesa vittima. Perché, quindi, si dovrebbe sparare – con l’arma corta – da distanze impensabilmente grandi, quali sono i 25 metri? Il paventato scontro a fuoco a lunga distanza, semplicemente non avviene nella realtà! Si pensi che la suddetta distanza è, generalmente, persino superiore allo spazio che intercorre tra il marciapiede di una pubblica via e quello posto dirimpetto. Sparare a chi è sul lato opposto della strada non costituisce ricorrenza abituale – eufemisticamente parlando. Agenti delle Forze dell’Ordine, per esempio, potrebbero dover contrastare, a rapina avvenuta, banditi che si trovino nei pressi dell’entrata di una banca, i primi scegliendo di porsi convenientemente sul lato opposto della strada, sicuramente riparandosi dietro le auto di servizio. Nel corso immediato di una simile circostanza, detta distanza potrebbe diminuire, tramutando lo scontro a fuoco in un evento alquanto pericoloso per gli Agenti, oppure aumentare, costituendo altresì un rischio per, se pur lontani, passanti. L’arma corta, impugnata durante un evento intriso di “combat stress”, ha per sua caratteristica principale la volata “ballerina”, causata dagli immancabili tremiti prodotti dall’adrenalina e dagli altri fenomeni provocati dal Sistema Nervoso Simpatico. Sperare di colpire un bersaglio lontano qualche decina di metri, nelle suddette condizioni di malessere psico-fisico, è puramente illusorio, nella stragrande maggioranza dei casi!
Quali sono le distanze che possono essere considerate inerenti al combattimento con la pistola (quale il Tiro Operativo/Difensivo con l’arma corta realmente è)? Diciamo innanzitutto che tali distanze devono essere palesate attraverso la ricerca storica dei relativi eventi. Ad esempio, le strade degli Stati Uniti d’America offrono calzanti – e incresciosi – esempi di scontri a fuoco, incluse informazioni utili a stabilire le distanze medie alle quali detti scontri a fuoco avvengono. Al tempo in cui il presente articolo è scritto (siamo a metà Maggio), negli Stati Uniti si celebra la National Police Week. Migliaia di Police Officers, comprese centinaia provenienti da Paesi esteri, hanno dato via a diverse manifestazioni, tra le quali spicca la “cerimonia del ricordo”, tenuta a Washington, D.C., presso il muro che commemora i caduti del Law Enforcement, sulla cui superficie sono intarsiati oltre 20.000 nominativi. Secondo l’annuale statistica messa a punto dall’FBI, nel 2010 sono stati uccisi negli USA, a colpi di arma da fuoco, ben 55 Agenti appartenenti alle varie Forze di Polizia. Un record poco invidiabile, anche perché sottace un numero molto maggiore di Agenti feriti in modo grave e anche invalidante. La media delle distanze nelle quali avvengono i suddetti scontri a fuoco, ove l’arma utilizzata è la pistola semiautomatica o il revolver, è ben dentro i tre metri! Per incredibile che possa sembrare, un addestramento oculato, indirizzato alla soluzione delle problematiche scaturenti dagli incontri “Close Quarter”, dovrebbe partire dalle suddette distanze. Anzi, da distanze anche inferiori!
Chi scrive ha operato in qualità di Agente in vari Dipartimenti di Polizia statunitensi, anche frequentando diverse Accademie di Polizia. In quasi tutte le suddette scuole, l’addestramento al tiro con l’arma corta (pistola e revolver) che effettuavo insieme con gli altri cadetti in campi di tiro all’aperto – mai all’interno di un poligono al chiuso! – iniziava dalla distanza di una yard dalla sagoma cartacea, per proseguire con le due, tre, cinque e sette yard. Entro le suddette distanze avveniva la maggioranza dei tiri, sebbene in alcune strutture si svolgesse anche il tiro dal riparo a 35 yard e il tiro dalla posizione a terra a 50 yard. Mi rendo conto del fatto che chi è abituato a sparare a un bersaglio posto a 10, 15 o anche 25 metri, non si sognerà mai di provare a sparare a un bersaglio molto più vicino, a volte tanto vicino da poterlo toccare. Ancora più bizzarra sembrerà tale azione, se proposta a chi insegna a sparare agli Operatori della Sicurezza pubblica e privata. Sparare così da vicino vorrebbe significare praticamente un affronto per il concetto stesso di Tiro Sportivo. Chi non colpirebbe un bersaglio posto a siffatta, ridicola distanza? Il fatto è che a tali ridicole distanze avvengono i misfatti che producono sangue, dolori e lutti tra i “buoni”. Fatto che passa inosservato, a causa dei troppi luoghi comuni che circondano il mondo del Tiro Operativo/Difensivo. E’ inoltre necessario prendere in considerazione il fatto che a queste vicinissime distanze, i tiri ottenuti sulla sagoma reale (il Bersaglio Armato) non sono affatto consistenti, vale a dire che non riescono a fermare l’azione aggressiva.
Un Corso di Tiro Dinamico Operativo® con la pistola, generalmente non va oltre i cinque metri. Entro questa distanza è possibile effettuare il TPM (Tiro Puntato-Mirato™) e il Tiro Puntato, con ottimi risultati. E’ anche vero che il TPM è efficace quanto il tiro propriamente mirato, nelle lunghe distanze. Così come è vero che il Tiro Puntato può essere sorprendentemente efficace a queste distanze. Chi non è abituato a sparare a bersagli posti a queste distanze minime si renderà conto del fatto che in questo contesto le Tecniche di Tiro tradizionali non sono sufficienti a garantire la probabile sopravvivenza dell’Operatore. Il Survival Shooting prevede soprattutto che l’avversario non colpisca l’Operatore. Fare centro sul Bersaglio Armato a costo di essere a propria volta colpiti, rappresenta una ben grama soddisfazione – per così dire! Nel suddetto contesto, il Tiro non può essere la Tattica, bensì esso è parte delle Tattiche. L’espletamento corretto delle appropriate Tattiche Operative contribuisce alla salvaguardia dell’Operatore e del Gruppo nel quale egli opera, molto più efficacemente che la conduzione di Tecniche di Tiro che sono scevre di Reattività, Ergonomia, Mobilità e Sicurezza!
CONCLUSIONE
Le distanze nelle quali avvengono i confronti armati e gli scontri a fuoco con l’arma corta non corrispondono alle distanze per le quali l’Operatore è stato tradizionalmente addestrato. Tutt’ora, molte strutture sportive e militari – accomunate dalle medesime credenze – costringono gli Operatori ad allenarsi al tiro con l’arma corta a distanze che ben superano quelle incontrate nella realtà della strada. L’influenza del tiro sportivo è predominante anche nelle strutture volte a formare l’Operatore, il quale – nel caso peggiore – si troverà poi a dover fronteggiare un Bersaglio Armato a distanze cortissime, all’interno delle quali non è preparato a reagire, neanche a livello psicologico. In effetti, l’addestramento è previsto e condotto per i casi peggiori, che, nel lavoro svolto dall’Operatore della Sicurezza pubblica e privata, sono costituiti da confronti armati e da possibili scontri a fuoco. A fronte di un addestramento erroneo e irrealistico, la reazione effettuata dall’Operatore sarà disordinata e inefficace e la Fortuna giocherà un grosso ruolo nella sua sopravvivenza.
FOTO E RELATIVE DIDASCALIE