IL TIRO PUNTATO-MIRATO™ (IL TIRO MIRATO)
di Tony Zanti
GENERALITA’
Nei precedenti articoli abbiamo trattato le Posizione di Tiro con l’arma corta, ossia le particolari e diverse impostazioni che il corpo umano assume – “istintivamente” o per abitudine appresa – allo scopo di utilizzare la pistola o il revolver a fuoco e colpire un bersaglio. Facendo riferimento al Tiro Reattivo, detto bersaglio è rappresentato da un aggressore il quale costituisce una seria minaccia nei confronti dell’Operatore ed è identificato con un termine abbastanza significativo: il Bersaglio Armato™. Si deve inoltre tener presente il fatto che l’Operatore medesimo costituisce un Bersaglio Armato. La presenza di (almeno) due Bersagli Armati nell’Ambiente Tattico™ comporta lo stravolgimento delle aspettative di chi si è allenato a colpire un bersaglio inerte (cartaceo o metallico), nella convinzione che il raggiungimento di un buon risultato (che identifichiamo con la rosata sulla carta o l’abbattimento sicuro del “pepper”) debba automaticamente tradursi nella vittoria (leggi: Sopravvivenza!) sul campo. Chi non si rende conto della differenza (immane!) che esiste tra il colpire un bersaglio inanimato e far fuoco su un essere umano, potrebbe dover essere costretto a scoprire che la rosata ottimale ottenuta in allenamento non corrisponderà ai colpi portati a segno sul Bersaglio Armato. Ciò avviene a causa di molteplici variabili, inesistenti nell’ambito del poligono o del campo di tiro, ma imperanti nella cruda realtà di situazioni che possono portare a conclusioni anche tragiche. Alcune di queste variabili sono oggettive e sono riferite all’Ambiente Tattico, che difficilmente – oppure, più realisticamente, mai! – può essere riprodotto in addestramento. Potranno essere diverse le distanze, le condizioni di luce, l’elevazione dei piani sui quali sono posti entrambi o tutti i Bersagli Armati, le armi e le munizioni di cui essi sono dotati, i movimenti intrapresi da ciascuno di loro, l’esposizione al Tiro oppure l’utilizzo efficace del Riparo e altro ancora. I motivi soggettivi riguardano invece, sia l’Operatore, sia l’altro o gli altri Bersagli Armati: il loro stato d’animo, l’emotività, le reazioni psico-fisiche, ecc. La somma di questi fattori, interdipendenti dalla realtà, piuttosto che da una fantasia da poligono di tiro, darà per risultato un Tiro meno che ottimale: fatto che potrebbe risultare nel fallimento del fermare l’azione aggressiva del Bersaglio Armato, che è compito principale e ultimo dell’Operatore. Sia che questi sia impegnato in un’azione difensiva, sia che si adoperi nell’espletamento dei propri doveri.
Fattore fondamentale di qualsiasi tipo di tiro è il puntamento dell’arma sul bersaglio. Se la volata dell’arma non è puntata direttamente sul bersaglio, il medesimo non sarà colpito. Chiaramente, il suddetto postulato si riferisce sia al tiro al bersaglio, sia al Tiro Operativo/Difensivo contro il Bersaglio Armato. Un fatto scontato, che però deve fare i conti con la realtà dello scontro a fuoco. Se diamo per scontato che in allenamento (o addestramento che si voglia chiamarlo) puntiamo l’arma sul bersaglio e usiamo gli organi di mira per essere sicuri di colpirne il centro o la parte intesa, dobbiamo anche convenire che il Tiro Reattivo avviene con modalità alquanto diverse. La stragrande maggioranza di coloro i quali hanno utilizzato l’arma corta per difesa, oppure per Servizio, hanno ammesso di aver puntato l’arma contro il Bersaglio Armato e di averne tirato il grilletto, ma non di aver usato gli organi di mira prima di aver fatto fuoco. Possibile? Se sì, a che cosa è dunque servito tutto quell’allenamento/addestramento che avrebbe dovuto preparare l’Operatore al fatidico evento? Per rispondere a questa domanda dobbiamo esplorare le modalità nelle quali il tiro è effettuato sul bersaglio, sia in addestramento, sia nella realtà di uno scontro a fuoco.
LE MODALITA’ DEL TIRO
Come abbiamo accennato in precedenti articoli a proposito delle Posizioni di Tiro, queste sono concepite come posizioni statiche, effettuate da Operatori che assumono la postura eretta. Esse costituiscono una necessità addestrativa, utilizzate allo scopo di apprendere le conoscenze di base del tiro. Chiaramente, non tutte le volte che un Operatore è costretto a far fuoco per difendere se stesso, oppure proteggere altri, è nella posizione eretta. Mille diverse situazioni comportano il Tiro Reattivo mentre l’Operatore è seduto, inginocchiato, riverso al suolo o supino, mentre il Bersaglio Armato può trovarsi ad altezze, distanze e posizioni diversissime da quelle che possono comunemente essere supposte in fase addestrativa.
Chiaramente, poiché qui facciamo riferimento al Tiro Operativo e Difensivo, il concetto di Posizione di Tiro cambia completamente significato, in quanto il Tiro è rivolto al Bersaglio Armato e, quindi, interconnesso al concetto di combattimento,
che è scevro di staticità, bensì è caratterizzato da una dinamicità elevata. La Posizione di Tiro, quindi, deve essere abbastanza dinamica da poter supportare al meglio il rapporto Operatore-arma. Così, mentre nel Tiro ad un qualunque bersaglio detto termine sembra calzante, nell’accezione del Tiro Operativo, esso diventa un ossimoro, cioè una contraddizione di termini.
Ciò è stato già detto ed è bene che sia ribadito, in quanto il medesimo concetto di Tiro Reattivo trova riferimento e utilizzo nel puntamento dell’arma sul bersaglio e dell’atto del mirare a detto bersaglio da parte dell’Operatore. Puntare e mirare sono azioni che possono essere effettuate contemporaneamente, interdipendenti l’una dall’altra. Praticamente, però, sono due cose diverse. Che cosa dice a proposito la Dottrina tradizionale?
Fondamentalmente, dice due cose:
- Il Tiro Puntato si fa alle brevi distanze, mentre il Tiro Mirato è necessario alle distanze superiori.
- Nel Tiro Mirato si deve necessariamente mettere a fuoco il mirino.
Innanzi tutto, bisogna dire che i detrattori del Tiro Mirato sostengono che il Tiro Puntato è abbastanza preciso fino ai 7 metri, e che il Tiro Mirato è troppo lento perché si possa effettuare nella Reazione Immediata. Secondo costoro, inoltre, il Tiro Mirato focalizza l’attenzione dell’Operatore sull’arma e distoglie la sua attenzione dalle insidie circostanti, tanto più che l’Operatore deve chiudere un occhio per poter mirare, così perdendo la metà del suo campo visivo (diverrà praticamente orbo!).
I fautori del Tiro Mirato sostengono che il tiro puntato non è preciso neanche alle distanze brevi, e che esso è strettamente dipendente dal modo di impugnare l’arma e di posizionare il corpo verso il bersaglio. Inoltre, i tiratori di Tiro Dinamico Sportivo – i quali sono notoriamente precisi e veloci – effettuano un tiro prevalentemente mirato. Questa è la diatriba. Ma quali sono i fatti? Vediamo.
FATTO # 1
Il modo più sicuro per colpire il centro del bersaglio nel tiro agonistico è senz’altro ottenuto mediante il mettere a fuoco il mirino dell’arma, mentre il bersaglio appare sfuocato in lontananza. Nel tiro a segno, un occhio è addirittura coperto da una superficie opaca, che permette di prendere la mira senza che questo sia chiuso mediante uno sforzo effettuato dal tiratore (fatto che potrebbe disturbare la concentrazione): anche qui il mirino è messo a fuoco.
Ma, allora, se il mirare con un solo occhio aperto al contempo mettendo a fuoco il mirino è la procedura ideale per colpire il bersaglio, perché non usarla nel Tiro Operativo? La risposta a questa domanda ha molteplici aspetti.
Se nella pratica sportiva è possibile chiudere un occhio per poter prendere la mira con l’altro occhio, nella realtà dello scontro armato ciò potrebbe non essere possibile. Infatti, l’insorgere di meccanismi psicofisici originati dal Sistema Nervoso Simpatico dapprima e in seguito dalla comparsa in circolo dell’adrenalina, impedisce che il suddetto modo di mirare avvenga. Questi meccanismi obbligano l’Operatore a mettere a fuoco il Bersaglio Armato, che è fonte del pericolo mortale, indipendentemente dalla sua volontà. Se l’Operatore riuscisse a spostare la messa a fuoco sul mirino, questa azione richiederebbe un tempo minimo di un secondo, ma non è detto che ciò sia possibile. L’addestramento al Tiro Operativo dovrebbe tenere conto di questo fatto, in quanto è opportuno riprodurre in addestramento quante più condizioni si possano trovare nella realtà dello scontro armato.
La riduzione del campo visivo mediante la chiusura volontaria di un occhio e la messa a fuoco del mirino con l’altro occhio, portano l’Operatore ad ignorare l’ambiente circostante, che apparirà lontano e quasi virtuale. Altri meccanismi causati dall’azione dell’adrenalina (esclusione auditiva e incanalamento visivo) hanno l’effetto di alienare ulteriormente l’Operatore dalla realtà circostante. In questi frangenti, l’Operatore sarà alla mercé di eventuali complici e andrà incontro alle insidie dell’ambiente, senza poter utilizzare “la coda dell’occhio”.
FATTO # 2
Il Tiro Mirato è meno immediato e più lento del Tiro Puntato, ma è più preciso. Questo è un vero dato di fatto! Si pensi che alle distanze medie cui avvengono gli scontri a fuoco, la maggior parte dei colpi sparati va a vuoto! Perché? Semplice:
- L’Operatore è stato addestrato a sparare contro un bersaglio cartaceo, immobile e “passivo”: nella realtà si troverà di fronte al ben diverso Bersaglio Armato, che al contempo è mobilissimo e perfino gli spara contro. La reazione spontanea dell’Operatore addestrato a mirare con le Tecniche proprie del Tiro Sportivo, difficilmente lo indurrà a prendere la mira prima di fare fuoco sul bersaglio armato: piuttosto egli esploderà una serie di colpi in modo concitato e disordinato. Una sorta di Tiro Puntato, ma che, in effetti, non ne ha le caratteristiche, in quanto l’Operatore non è stato addestrato nel suo utilizzo.
- L’Operatore non è stato addestrato a reagire sotto stress. Quando lo stress avviene, esso domina l’Operatore e le sue azioni. L’eccitazione dello sparare in Addestramento ad una sagoma immobile non è paragonabile a ciò che poi avviene nella realtà. Il Combat Stress è il più importante parametro nello scontro armato, e il fatto che esso non sia preso in considerazione durante l’Addestramento, la dice lunga sulla qualità dell’addestramento stesso.
FATTO # 3
Mirare e puntare sono due facce della stessa medaglia, ciascuna con i propri pregi e difetti. Se riuscissimo a inglobare entrambi questi modi di sparare in un Tecnica eclettica che sfrutti al meglio i meriti di ciascun modo, avremmo trovato un ottimo strumento per effettuare un tiro preciso e veloce.
Questa Tecnica esiste ed è parte integrante del Tiro Reattivo. Nel Tiro Dinamico Operativo® le abbiamo dato il nome di Tiro Puntato-Mirato™, che esporremo in seguito, dopo aver trattato il Tiro Mirato nel presente articolo e il Tiro Puntato, nel prossimo.
IL TIRO MIRATO
In apparenza e nella tradizione “classica” dell’utilizzo dell’arma corta (pistola semiautomatica e revolver), il Tiro Mirato rappresenta la ‘conditio sine qua non’ che rende possibile il piazzamento del tiro sul bersaglio. Le meravigliose Tecnologie odierne, applicate alla costruzione delle armi da fuoco, permettono che anche un principiante (a patto che sia stato informato sulla natura e carattere delle armi da fuoco) che si affaccia al mondo del Tiro, possa con tutta tranquillità colpire il bersaglio. Le mire metalliche sono un buon esempio della predetta Tecnologia: basta compararle ai congegni di mira esistenti nei revolver della Frontiera americana (tanto per citare un’epoca non lontanissima), per notarne le enormi differenze in termini pratici e di ergonomia. A quei tempi, puntare il revolver aveva più senso, data la necessità di sparare velocemente alle distanze ravvicinate (caratteristica essenziale dell’arma corta), il più delle volte armando il cane del revolver in Single Action con il palmo della mano di supporto, nel caratteristico “fanning”, reso famoso dai film di “Indiani e Cowboys”. Negli occasionalmente rari tiri più lunghi (dominio indiscusso dell’arma lunga), il mirino “la faceva da padrone”, avendo prominenza sulle flebili o inesistenti tacche di mira. In realtà, dobbiamo attendere i primi del ‘900 e le pistole semiautomatiche perché gli organi di mira siano pienamente funzionali e accettati da chi si cimentava nel colpire con una certa precisione il bersaglio.
Odiernamente, il Tiro Mirato è essenziale nell’utilizzo dell’arma corta nel Tiro Accademico. Parlare di Tiro non-mirato a chi si pone l’obiettivo unico di “fare il dieci” sul bersaglio cartaceo, equivale a proferire una bestemmia. Il tiratore accademico ha tutte le ragioni di questo mondo per le quali deve necessariamente allineare gli organi di mira, mettere a fuoco il mirino e lasciare partire il colpo, quasi come se l’arma avesse una volontà propria. Questo non si discute!
In altri e differenti contesti, si considerano quali strumenti scontati di ausilio al raggiungimento del “fare centro”, tutti quei congegni che la moderna Tecnologia, appunto, ha messo a disposizione di chi può permettersi di spendere denaro (e risparmiare tempo). Parliamo di congegni di mira ottici, elettronici, oleografici e luminosi per l’individuazione sicura del bersaglio: un lusso – a volte controproducente nell’applicazione delle Tattiche Operative – che diventano parafernalia indispensabili in altri Sport del Tiro. Detti strumenti hanno ragione di essere in certi Settori Operativi e soltanto nell’arma lunga, tenendo presente che il cosiddetto “laser” (utilizzato anche da Forze Speciali sull’arma corta), è un congegno di puntamento, piuttosto che di mira.
Il tiratore, inteso quale macchina biomeccanica, compie l’apparente semplice azione del mirare in diverse modalità, considerando i fattori che intervengono a decretare la riuscita positiva o negativa del tiro. Vediamo quali sono.
CENTRALIZZAZIONE
Si deve sapere che almeno il 50% dell’abilità necessaria per colpire il bersaglio, è innata. Nel Tiro a Segno con le armi da fuoco, come nel Tiro con l’arco e – incredibilmente – nelle attività ludiche dove il Tiro si esplica mediante parabola corta (freccette, pallacanestro, bocce, ecc.), alcune persone raggiungono risultati eccellenti quasi subito, mentre altre si affermano a livelli appena soddisfacenti soltanto dopo un lungo impegno. Mettere in atto la modalità di Centralizzazione del Tiro, significa riuscire a stabilire l’esatta posizione del bersaglio rispetto all’ambiente, l’esatta distanza del bersaglio e le sue esatte dimensioni: l’esattezza con cui queste informazioni sono recepite dal tiratore, contribuirà grandemente alla precisione del Tiro. Questa non è teoria e si può trasformare in un interessante Esercizio pratico. Prima di tirare, si provi ad inquadrare il bersaglio nella sua esatta posizione spaziale, giudicandone la distanza e le proporzioni bidimensionali (altezza e larghezza) e, ponendo al centro di esso l’arma corta e spostandola leggermente nelle quattro direzioni, si metta a fuoco brevemente il bersaglio ogni volta, per stabilirne la distanza, l’altezza e la larghezza. Sorprendentemente, l’abitudine a prestare attenzione alla locazione e le dimensioni del bersaglio, miglioreranno le prestazioni del Tiro.
PROPRIOPERCEZIONE E CINESTESIA
Mentre la Centralizzazione aiuta il tiratore a definire la qualità del bersaglio e a stagliarlo in una modalità spaziale ben definita, Propriopercezione e Cinestesia coadiuvano gli input provenienti dal corpo e dai sensi, al fine di rendere noto al tiratore la propria posizione e coordinarne i movimenti. La Propriocezione è un termine utilizzato per descrivere la percezione del proprio corpo rispetto all’ambiente circostante, mentre la Cinestesia può essere definita come il “sesto senso”: la percezione che si ha della posizione e del movimento del corpo e degli arti. Concetti interdipendenti, dunque, e, soprattutto, fondamentali nella realizzazione del Tiro ottimale, essendo strumentali nello sviluppo delle capacità coordinative di base, attraverso l’acquisizione e l’elaborazione delle informazioni delle esperienze motorie e mediante il controllo del movimento attraverso le progressive informazioni provenienti dalle esperienze tattili, visive, acustiche, cinestetiche, dell’equilibrio e del movimento. I predetti dati devono essere “riacquisiti” con il tempo, in quanto pare che il nostro “sesto senso” sia stato perduto o soppresso dall’incalzare della civiltà moderna, che impegna i nostri sensi con una miriade di segnali esterni che impediscono la ricezione dei segnali trasmessi dal corpo. Non a caso, alcuni campioni di Tiro praticano lo yoga e la meditazione, allo scopo di liberarsi dei “flussi negativi” che inquinano il giusto equilibrio corpo-mente.
PRIORITIZZAZIONE DELLA MESSA A FUOCO
Il modo più sicuro per colpire il centro del bersaglio nel Tiro Agonistico è senz’altro ottenuto mediante il mettere a fuoco il mirino dell’arma, mentre il bersaglio appare sfuocato in lontananza. Nel Tiro a Segno, un occhio è addirittura coperto da una superficie opaca, che permette di prendere la mira senza che detto occhio sia chiuso mediante uno sforzo effettuato dal tiratore (fatto che potrebbe disturbare la concentrazione): anche qui il mirino è messo a fuoco. D’altro canto, se nella pratica sportiva è possibile chiudere un occhio per poter prendere la mira con l’altro occhio, nella realtà dello scontro armato ciò potrebbe non essere possibile. Infatti, l’insorgere di meccanismi psicofisici originati dalla improvvisa presenza dell’adrenalina in circolo, impedisce che il suddetto modo di mirare avvenga. Questi meccanismi obbligano l’Operatore a mettere a fuoco il Bersaglio Armato, che è fonte del pericolo mortale, indipendentemente dalla propria volontà. Se l’Operatore riuscisse a spostare la messa a fuoco sul mirino, questa azione richiederebbe un tempo minimo di un secondo, ma non è detto che ciò sia possibile. Come vedremo prossimamente, la scelta di mettere a fuoco il mirino, piuttosto che il Bersaglio Armato, comporta nel primo caso una serie di inconvenienti di ordine tattico, nel secondo, un Tiro notevolmente preciso, nonostante le apparenze e le false credenze.
SIGHT PICTURE
E’ l’immagine del bersaglio, vista attraverso le mire metalliche e costituisce un’esperienza individuale, che non può essere generalizzata. Infatti, ciascuno di noi vede o intravede il bersaglio in modo diverso, in relazione ai propri parametri preferenziali, alla capacità oculare, al modo di impugnare l’arma, ecc. Nel Tiro a Segno, l’immagine ideale può essere il bersaglio cartaceo (sfuocato), con il mirino piazzato al di sotto del centro del bersaglio. Nel Tiro Operativo invece, il “Sight Picture” potrebbe concretizzarsi nel vedere il centro del Bersaglio Armato, messo a fuoco, coperto dal mirino. Nel primo caso, lo scopo è quello di avere una chiara visione del “dieci” che si andrà (possibilmente) a colpire, nel secondo l’intento è quello di “coprire” con maggiore certezza (perché l’inquadramento potrebbe avvenire nella massima urgenza) il Bersaglio Armato, dato che poter vedere una buona parte del mirino significa che il tiro non andrà a finire in basso e lateralmente, come nel caso in cui il mirino non è visibile, durante un frettoloso tentativo di Tiro Mirato.
OCCHIO DOMINANTE
La stragrande maggioranza dei tiratori usa l’occhio dominante per effettuare la connessione mire-bersaglio. L’occhio dominante, comunque, può cambiare con il corso degli anni, soprattutto a causa di incidenti o abitudini posturali. Alcuni credono che il caso peggiore che possa loro capitare in qualità di tiratori, sia essere destrimani e avere come occhio dominante il sinistro, e viceversa. In realtà, il Tiro Mirato con l’arma corta può essere compiuto con precisione dai suddetti individui: l’unico accorgimento deve consistere nel portare l’arma sulla linea di mira dell’occhio dominante, e non viceversa. La faccenda si complica soltanto quando il riferimento è da applicare all’arma lunga: in tale contesto la dissonanza tra occhio dominante e lato dominante è molto più difficile da superare. In conclusione, avere un occhio dominante non è un difetto, ma piuttosto una caratteristica di tutti gli esseri umani. Se utilizzato propriamente, l’occhio dominante è un sicuro aiuto nel Tiro Mirato, e non un handicap.
CONCLUSIONE
Mirare al bersaglio è indiscutibilmente il modo migliore per colpirlo con precisione, anche se limitatamente alla situazione, gli scopi e la finalità del tiro con l’arma corta. Quando, però, andiamo a investigare l’essenza del Tiro Operativo/Difensivo effettuato con l’arma corta ci rendiamo conto che il Tiro Mirato potrebbe diramarsi in entrambe le facce della medaglia: troppo lento perché l’operatore possa opporre un’efficace reazione, oppure abbastanza preciso da invalidare la reazione del bersaglio armato (l’opponente)?
Questo è l’amletico dubbio che si affaccia alla mente dell’utilizzatore dell’arma corta che seriamente considera l’ipotesi in cui egli debba rispondere al fuoco di un aggressore. Avrà egli il tempo di estrarre, puntare e prendere la mira, prima che l’altro possa colpirlo a sua volta? O forse dovrebbe semplicemente puntare l’arma in modo “istintivo”, prima di fare fuoco? Dovrebbe, inoltre, basare questa scelta sulla distanza cui il bersaglio si trova nel momento in cui avviene la reazione?
Il presente articolo non poteva fugare i suddetti dubbi, in quanto il Tiro Mirato non è la risposta costante ed esclusiva alle problematiche che si incontrano nel Tiro Reattivo. Né sempre e comunque detta risposta è affidata al Tiro Puntato. Il Metodo Tiro Dinamico operativo® fornisce una efficace soluzione del problema, come vedremo in seguito, mediante la Tecnica denominata Tiro Puntato-Mirato™.
FOTO E RELATIVE DIDASCALIE
Consolidato attraverso un’abitudine secolare, il Tiro Mirato è odiernamente una necessità del Tiro Sportivo e, soprattutto, del Tiro Accademico. Il Tiro Mirato effettuato nelle strutture del Tiro Sportivo, è esclusivamente interdipendente dal corretto allineamento degli organi di mira e il posizionamento e il relativo mantenimento della volata dell’arma sul bersaglio.
Nel Tiro Operativo, oppure nel Tiro Difensivo, l’incontro con il Bersaglio Armato è caratterizzato dalla gran fretta di mettere a segno uno o più colpi che pongano fine alla minaccia. In queste condizioni, mirare è un lusso, ma è essenziale conoscere la posizione del mirino rispetto alle tacche di mira. L’impugnatura corretta dell’arma corta è importantissima per puntare l’arma in modo “istintivo”, così coadiuvando il compimento dell’azione difensiva.
Se l’Operatore ora facesse fuoco, il colpo sul Bersaglio Armato difficilmente potrebbe essere conclusivo: a questa distanza, lo spostamento del mirino di pochi millimetri dal centro delle tacche di mira, risulta in uno spostamento di diversi centimetri sul bersaglio. Inoltre, se il puntamento errato dipende da una presa meno che ottimale dell’arma, i successivi colpi sparati andranno, con buona probabilità, al di fuori del centro del bersaglio, data la rapidità con la quale avviene la reazione, che non consente il vero e proprio Tiro Mirato.
Anche in questo caso, il proiettile sparato dall’Operatore ha poche probabilità di essere determinante nella cessazione dell’Azione aggressiva. Il mirino non è visibile e, quindi, la volata dell’arma è puntata verso il basso. Sicuramente, ma non soltanto: non c’è modo di sapere verso quale lato del Bersaglio Armato la volata è puntata. Il fatto che il mirino non sia a fuoco in queste tre immagini non è casuale: nel confronto armato, le reazioni psicofisiologiche dettate dalla macchina umana costringeranno l’Operatore a mettere a fuoco l’oggetto della minaccia e non parti dell’arma.